Da
un destino inevitabile alla libertà
Di Dante Balbo
Lo spunto per queste
riflessioni ci è venuto da quando, qualche tempo fa, qualcuno si è
rivolto a noi dicendo che eravamo un punto di riferimento per aiutare a risolvere
i problemi di persone o famiglie con un grave indebitamento. Il risanamento
economico non è escluso dal lavoro di un servizio sociale, ma è
difficile e impegnativo, con più alte probabilità di fallire che
di riuscire. Le sfide a Caritas Ticino sono sempre piaciute e anche questa non
l’abbiamo disdegnata, mettendo a frutto la nostra esperienza.
Storie
In Ticino non si può
parlare di povertà, con buona pace degli allarmisti e pauperisti di ogni
provenienza, perché la protezione sociale è alta e nessuno è
lasciato nell’indigenza. Non è questo il luogo per affrontare la
questione dell’efficacia della protezione sociale e del fatto che oggi
vi siano fasce a rischio, soprattutto fra i cittadini stranieri anche domiciliati
da noi da parecchi anni.
Eppure sempre più persone si rivolgono al nostro servizio sociale portandoci
situazioni di indebitamento a volte di una certa gravità. Elemento comune
delle storie che ci raccontano è la diminuzione delle entrate, oppure
la mancata affluenza di denaro che si sarebbero aspettati e la incapacità
di adattare il loro tenore di vita alla nuova situazione.
“Mio marito lavorava,
dice una signora, poi lo hanno licenziato per una ristrutturazione della ditta.
Rimanere disoccupati a cinquant’anni non è semplice e un lavoro
non si trova. Poi è venuta la depressione, sempre meno voglia di cercare
lavoro, il dentista pretendeva di essere pagato, la macchina si è rotta,
l’abbiamo cambiata, ma non avevamo contanti, così abbiamo fatto
un leasing, poi abbiamo chiesto un prestito…
La disoccupazione è finita e io lavoro poco, qualche casa o qualche ufficio
da pulire ogni tanto, ma non ho un lavoro fisso, perché ho ancora i bambini
piccoli. Per pagare i debiti vecchi abbiamo trascurato le spese vive, così
adesso il padrone di casa vorrebbe sfrattarci e la Cassa Malati ci ha sospeso
le prestazioni complementari e non abbiamo neanche più il telefono…”
“Quando mia moglie mi ha piantato, dice un altro, mi sono trovato improvvisamente
perso. Era sempre lei a fare i pagamenti e non sapevo che in realtà aveva
fatto debiti, aveva buttato via migliaia di franchi di telefonino, perché
si è innamorata di un olandese. D’altra parte l’ultima cosa
che avevo in mente allora era pagare i creditori, non aprivo neanche la posta,
andavo a lavorare tanto per tirare avanti. Poi anche il lavoro è saltato,
perché piano piano mi sono lasciato andare e ho fatto troppe assenze
ingiustificate. Le ho portato qui tutto quello che ho trovato, (rovescia sul
tavolo un paio di borse di buste, molte delle quali ancora chiuse), perché
io non so cosa fare, mi continuano a sollecitare per cose che non ho pagato,
che io neanche mi ricordo.”
“Gli ho voluto bene, racconta una terza, abbiamo anche avuto un bambino
insieme e lui se n’è andato. Una volta avevo intercettato una lettera,
con un sollecito, ma mi ha detto di star tranquilla che ci pensava lui. Certo
che ci ha pensato, con i miei soldi si è pagato non so quante video porno,
la moto e le camicie sempre impeccabili. Diceva di lavorare in banca, ma probabilmente
l’unico deposito che conosceva era il mio conto-salario.
Quando se ne è andato, direi scappato all’estero, tutto mi è
letteralmente rotolato addosso. Cercando in cantina degli stivali per la pioggia
sono inciampata in un mobile e dall’alto è caduto uno scatolone
che si è aperto. Mi sono cadute sulla testa decine di lettere: precetti
esecutivi, solleciti, diffide ecc. Non erano reperti di famiglia, ma verità
brucianti sul mio rapporto con quel … del mio compagno. Morale della favola,
in verità poco adatta ai bambini, a Ornella, mia figlia, la racconterò
un giorno, per insegnarle ad essere prudente, dicevo, morale sono 30.000 franchi
di debiti, adesso tutti miei.”
Non solo vittime
Il primo elemento che dobbiamo
sottolineare in queste storie è che i loro protagonisti si sentono sempre
vittime, incastrate, intrappolate loro malgrado in una serie di eventi che si
sono succeduti, senza che loro potessero farvi nulla.
Di per sé, ascoltandoli, la prima sensazione che si ha è che abbiano
ragione, che in fondo non avrebbero potuto farci niente, che in qualche modo
sono solo da compiangere. Non è esattamente così, perché
se si analizzano le loro scelte una per una, si vede che in realtà sono
sì vittime, ma di loro stesse, della loro sensazione di inevitabilità,
di fatalità.
La punta dell’iceberg
Tanto è più
grave la situazione di indebitamento, tanto minore è la consapevolezza
esatta della sua entità. Le persone hanno perso il conto, non sono in
grado di spiegare dove finiscano le loro entrate, sono sopraffatte dalla pressione,
dalla smania di tappare le falle, di coprire i debiti.
La proposta più frequente che ci viene fatta è la apertura di
un credito che copra tutti gli altri, così da diminuire questa sensazione
di urgenza, anche a costo di aumentare ulteriormente il loro debito.
Allora si scopre spesso che questa falla da contenere è troppo grande
e di essa gli stessi protagonisti vedevano solo la punta. Lo stupore si dipinge
sul loro volto quando si prende carta e penna e si calcola con maggior precisione
l’entità effettiva del debito.
L’inganno del cadavere
Un noto proverbio cinese
dice che la miglior vendetta è l’attesa, aspettando sulla riva
del fiume, prima o poi, il cadavere del nostro nemico ci passerà davanti.
Spesso parlando con chi si è indebitato, la sensazione è che siano
sempre in attesa di qualcosa di magico, come se un giorno potessero svegliarsi
e vedere galleggiare sul fiume il fascio inerte dei loro precetti esecutivi.
A ciò contribuisce il silenzio, che spesso intercorre fra un’azione
legale e il suo proseguimento, che dà l’illusione che in qualche
modo il debito si sia miracolosamente estinto.
Mettiamo insieme questa aspettativa e la speranza che con un altro debito, potranno
annullare i precedenti e otteniamo un inganno perverso, in cui il nemico, per
parafrasare l’antico detto, non si sogna neppure di morire, anzi ingrassa
e prospera.
Ci vuole purtroppo di solito molto tempo prima che questo inganno diventi palese
e la situazione tanto insostenibile da costringere finalmente le persone a chiedere
aiuto.
La via stretta, salvezza e rovina
Fin qui il quadro della
situazione, tracciato a pennellate fosche e sommarie, tralasciando le molte
sfumature, che ci porterebbero lontano, perché ogni persona è
una storia a sé, con cause ed eventi che hanno determinato esattamente
la condizione in cui si rivolge a noi.
Le soluzioni sono in parte differenti, ma tutte contengono un elemento indispensabile,
senza il quale il fallimento è assicurato. Mai come in questo caso si
è rivelato efficace e valido il detto evangelico “stretta è
la via che porta alla salvezza”.
Per affrontare una situazione debitoria infatti, il primo passo da compiere,
dopo l’analisi dettagliata della grandezza del guaio e delle effettive
risorse disponibili, è l’impegno al controllo minuzioso delle spese.
Spesso si constata che accanto alle disgrazie, vi è una incapacità
di gestione, una difficoltà a contabilizzare le proprie spese, a controllarle
nei dettagli.
L’unica proposta che noi possiamo fare allora è che chi si è
venuto a trovare in questa situazione ammetta la sua difficoltà di gestione
e si impegni, possibilmente sotto il controllo attento di qualcuno a prendere
nota delle sue spese e a programmarle periodicamente. Questo è il passo
più difficile, il gradino d’inciampo, la salvezza e la rovina di
molti.
Se infatti non si accetta questo regime di assoluto controllo sulle proprie
uscite, non serviranno a niente gli accordi con i creditori, i sussidi, le donazioni
di enti benefici, né la stipulazione di un debito più grande che
comprenda tutti gli altri.
Quello che deve mutare è lo stile di vita, il modo di gestire le proprie
risorse. Quando cerchiamo di farlo capire, la protesta indignata si leva quasi
immediatamente: “Sono anni che non andiamo in vacanza, non usciamo mai,
non mi ricordo l’ultima volta che sono andata al cinema, ecc.”
Il sacrificio è naturalmente una componente importante del risanamento,
ma spesso si tratta di un elemento subito e non scelto, così che diventa
motivo di stress e non strumento di lavoro al pari degli altri.
Inoltre vi sono altri fattori di controllo che non vengono spesso presi in considerazione.
Prendiamo per esempio l’uso delle carte di credito. Sono una seria fonte
di indebitamento, ma non ci si separa da loro fin quando non si è costretti,
cioè quando il debito accumulato non costringe le agenzie di distribuzione
delle carte a bloccarle per superati limiti di credito.
A volte il leasing di un auto non sarebbe stato indispensabile, ma la necessità
di cambiare stile di vita, di immaginarsi ad utilizzare i mezzi pubblici, con
le conseguenze inevitabili del condizionamento ai loro orari, sembra inconcepibile.
Qui spesso si arresta la possibilità di aiutare le persone e le famiglie
indebitate, perché non riescono a superare la difficoltà di mettersi
a controllare rigorosamente le loro uscite e, di solito, dopo la nostra proposta
in questa direzione, scompaiono.
Né falchi rapaci, né struzzi
Se però si decidono
a camminare per la strada del rigore, devono misurarsi con un altro problema,
più semplice, ma ancora impegnativo. L’atteggiamento consueto di
chi ha molti debiti è di trascurare i creditori, di non rispondere ai
solleciti, di comportarsi insomma, come lo struzzo che nascondendosi con la
testa nella sabbia, pensa di essere invisibile.
Noi abbiamo verificato invece che i creditori quasi sempre non sono falchi assetati
di sangue, ma persone disponibili, irritate più dal silenzio che dalla
permanenza di un debito. Una volta che li cerchiamo, che proponiamo loro un
accordo, una rateazione, purché si mantenga fede all’impegno preso,
si dimostrano più pazienti di quanto si creda.
Una lunga marcia
Anche con l’estremo
rigore, con il ricorso a tutte le risorse disponibili, attingendo a sussidi
non utilizzati e trovando un accordo con i creditori, la strada del risanamento
è lunga e purtroppo molti abbandonano la strada prima di essere giunti
alla meta.
I pochi che resistono, li possiamo contare sulla punta delle dita, però,
ritrovano la vita, la gioia di poter camminare a testa alta, la soddisfazione
di riprendere in mano la loro vita. Questo è un buon incentivo per cercare
di non ricadere negli stessi errori.